giovedì 7 luglio 2011

Strauss-Kahn. Quando basta la parola di una donna a far scattare le manette

La vicenda Strauss-Kahn è emblematica sotto diversi punti di vista. Il primo, quello che conferma la tesi osteggiata da molti e secondo cui basterebbe la parola di una donna per far scattare le manette: questo in effetti è quello che si è verificato. L'unica prova a danno dell'ex presidente del FMI era appunto la parola di una prostituta del Bronx alla ricerca di guadagni facili, rivelatasi successivamente falsa. Si, perché contrariamente a quello che sostengono la femministe, non è solo la reputazione della cameriera ad aver suggerito agli inquirenti a fare parecchi passi indietro, ma anche gravi falle nel merito dell'accusa. Ophelia infatti avrebbe fornito davanti al Gran Giurì una ricostruzione dei fatti secondo cui, dopo la presunta violenza e prima di riferire l'accaduto al suo superiore, avrebbe riassettato un'altra stanza dell'hotel. Citando quello che riporta l'ASCA
La ricorrente ha ammesso che le sue dichiarazioni erano false e che dopo l'incidente nella Suite 2806 [quella di Strauss-Kahn ndr.] aveva provveduto alla pulizia di una stanza vicina e poi aveva fatto ritorno alla Suite 2806 e aveva cominciato a ripulirla prima di riferire dell'incidente al suo supervisore
tutto questo conferma per l'appunto il primo aspetto della questione, e cioè che basta la parola di una bugiarda per rovinare per sempre la vita di un uomo. DSK è stato arrestato, umiliato pubblicamente e incarcerato nel penitenziario di massima sicurezza di New York: se non avesse avuto a disposizione una cauzione di 6 milioni di dollari, sarebbe rimasto lì per due mesi, come del resto capita a tanti poveracci che non si possono permettere simili spese. Ma anche il secondo aspetto, quello della malafede femminista: gente come la Terragni (http://blog.leiweb.it/marinaterragni/2011/07/02/una-grandissima-str-a/?fb_ref=.ThSqYQ0H0wQ.like&fb_source=profile_oneline) o la Jong (da leggere, è una collezione di deliri che non si può proprio perdere) infatti persistono a diffondere l'idea secondo la quale sarebbe stato solo il background della donna ad aver indotto la Procura a ritrattare le accuse contro Strauss-Kahn. Ciò è semplicemente una menzogna, anche se in effetti non sarebbe una cosa completamente fuori dal mondo verificare, ogni volta che due parti si contendono l'una contro la parola dell'altra, quale delle due sia più attendibile basandosi sulla reputazione. Ma ormai abbiamo capito che in questi casi la parola che conta infinitamente di più è quella dell'accusatrice, che deve essere creduta in ogni caso, finché contraddizioni nel suo racconto o controprove raccolte dalla difesa non ne evidenzino in maniera palese l'inattendibilità.

A questo proposito, segnaliamo un'altra notizia, avente però come protagonista un semplice poliziotto di Perth (Inghilterra). In data 1 luglio Paul Greig è stato riconosciuto colpevole per due stupri avvenuti 36 anni fa. Le accusatrici, ormai quarantenni, hanno riconosciuto l'uomo in una foto sul giornale: si trattava del babysitter che le aveva accudite quando avevano meno di dieci anni. Secondo la loro storia, Greig le avrebbe violentate nella loro casa dopo il bagno. Naturalmente, il poliziotto non ha potuto portare alibi per difendersi: dopo 36 anni, ricordava solo di aver fatto loro da babysitter in due occasioni. Ha solo avuto la possibilità di negare quelle accuse con la propria parola. Non c'era altro: l'avvocato della difesa Tommy Ross ha rimarcato il fatto che non esistevano prove mediche e scientifiche dei presunti stupri. Era la parola delle due donne contro quella dell'agente. Ma proprio per questo, per il fatto che non era stato possibile, dopo 36 anni, portare controprove a difesa dell'indagato, che Paul Greig è stato condannato. Conosceremo il verdetto in data 10 Agosto: intanto, l'uomo è stato messo in custodia e il suo nome iscritto nel registro dei sex offenders. La figlia è scoppiata in lacrime «Dad, Dad, Dad. Oh My God». E tutto grazie all'inversione dell'onere della prova voluto dal femminismo.

In effetti, è proprio la volontà di punire il maschio che è stata alla base della concezione dei reati di violenza sessuale e pedofilia. L'istituto della presunzione di colpevolezza si è reso necessario per consentire anche a chi non viene realmente abusata di partecipare a questa gigantesca, enorme farsa. Dare l'opportunità a tutte le donne di poter scegliere le proprie vittime da calunniare in libertà è una delle grandi conquiste del femminismo: l'unico vincolo è non essere così cretine da rendere versioni contraddittorie alla polizia, altrimenti diventa duro nascondere l'impostazione marcatamente vaginocentrista della magistratura (il caso di Carlo Parlanti è un'eccezione "positiva" a questa regola). Di rado l'accusato riesce a portare controprove a suo favore, soprattutto quando la calunniatrice ha l'arguzia di ritardare la denuncia: si veda qui per ulteriori dettagli. E da questo discende il terzo aspetto della vicenda: la volontà da parte di un'oligarchia di mettere in atto il tanto ambito progetto di ingegneria sociale per cui gli uomini se ne stanno in carcere mentre le donne, finalmente realizzate per aver sconfitto il loro acerrimo rivale, quel rivale colpevole di non essere riuscito a soddisfare i loro più intimi desideri, fanno da carceriere.

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