sabato 14 luglio 2012

Violenza assistita: parola al femminismo

Vorremmo analizzare un articolo (http://femminismo-a-sud.noblogs.org/post/2012/07/14/violenza-assistita-e-mamme-maltrattanti) redatto da cybergrrlz, blogger di Femminismo a Sud e riguardante il tema scottante della violenza assistita (il post è stato leggermente modificato per non incorrere nelle sanzioni riservate dai motori di ricerca a chi copia di peso le fonti; le frasi tra parentesi quadre sono nostre aggiunte)
Stasera ho sentito il Tg3 Notte che parlava di violenza sulle donne. I giornalisti si sono concentrati sulla violenza assistita, ovvero la violenza maschile cui assiste un bambino e che provoca traumi indelebili.

Sul fatto che il Governo Italiano debba provvedere a creare una norma che riconosca la violenza assistita come penalmente perseguibile ha parlato anche l’Onu nelle sue raccomandazioni e nella sua esposizione sul femminicidio in Italia [si veda qui].

[...]

In questi giorni, dicevo, si è parlato molto anche di violenza assistita. L’Associazione Pangea ha parlato dell'esistenza sul territorio di alcune case (http://www.pangeaonlus.org/main.php?liv1=progetti&liv2=in_corso&liv3=italia_piccoli_ospiti) che sono proprio predisposte a sanare le relazioni tra le mamme vittime di violenza e i bambini che devono essere aiutati a superare il trauma [della violenza assistita]. La Repubblica ha condiviso i dati che parlano di cifre comprese tra i 400 e le mille migliaia di minori di età inferiore ai 18 anni vittime di violenza assistita. Anche il telefono Rosa parla del fenomeno su La Stampa.

Su Rai Tre, dicevo, ho visto uno spezzone di intervista fatta a una donna, che parlava delle vittime di violenza assistita e di come questo genere di abuso si ripercuota sulla vita delle madri. Tra le tante cose più o meno condivisibili dette nella trasmissione ce n’è stata una che non ho condiviso affatto: non so su che dato si basasse la sua testimonianza, ma mi permetto di contestare il dato secondo cui i bambini, maschi, vittime di violenza assistita da grandi diventeranno violenti mentre le femmine da adulte si ridurranno ad essere vittime di violenza maschile.

Mi sembrerebbe oltremodo strano e stereotipato che un trauma si manifesti in modo diverso a seconda del genere al quale occorre [il fatto è che la violenza assistita viene percepita in maniera differente a seconda del ruolo sociale della persona coinvolta, che è diverso per maschi e femmine: i primi sono investiti di maggiori aspettative sul profilo socio-economico, le seconde ad adempiere ai ruoli di cura imposti dalla famiglia]. Non ho dati e non mi permetto di parlarne con superficialità, ma so per certo che almeno in alcuni casi che conosco le donne che sono state vittime di violenza assistita, che hanno imparato a subire, [...] sono diventate a loro volta veicolo di maltrattamento nei confronti di chi era più debole: i bambini [ed ecco dove scatta il giustificazionismo: le madri violente sono tali probabilmente perché a loro volta imbrigliate da piccole nei meccanismi perversi della violenza assistita].

Ho visto madri che urlavano ai bambini peggio di sentinelle della Gestapo e mamme che li picchiavano per qualunque cosa in nome della frustrazione, della solitudine, dell’assenza di aiuto, o semplicemente perché ove non esistano ragioni per picchiare i bambini l'unico altro modo di comunicare con essi rimane per l'appunto la violenza. Dunque capisco che ci sia la necessità di sanare le relazioni e la psiche di persone così provate ma è anche necessario, credo, liberare la necessità delle donne vittime che diventano esse stesse veicolo di violenza di vedersi riconosciuto in quanto soggetti complessi il ruolo di oppresse che diventano oppressore, di vittime che diventano carnefici, complici, talvolta, e comunque demonizzate, mai comprese nello sforzo di accettazione che fanno di se stesse che dovrebbe essere la prima importante fase dopo la quale poter accedere ad un percorso di recupero di sé, di autoaccettazione, comprensione e cambiamento. Perché quelle madri vittime di violenza che tireranno schiaffi ai figli se non vengono liberate dalla costrizione di dover apparire sempre sante (altrimenti demoni) non potranno mai affrontare il loro problema e lo negheranno perché si sentiranno solo dei mostri. Incapaci e piene di sensi di colpa [beh, il fatto strano e stereotipato, per usare le sue stesse parole, è che questo apparato giustificazionista debba valere solo per le donne, quando ad essere vittime di violenza assistita sono maschi e femmine in egual misura; di fatto la stigmatizzazione sociale dei comportamenti violenti avviene proprio in questo senso. La nostra sorellina parte da un assunto condivisibile, quello della bilateralità del trauma, per approdare non si sa come ad un'interpretazione prettamente unilaterale].

Le mamme già vengono definite troppo spesso come mostri e si sentono cattive a sufficienza perché nessuno le legittima e le autorizza a mostrare i propri egoismi e le proprie imperfezioni [...].
Casi concreti, cara cybergrrlz, di fatto dimostrano il contrario: la demonizzazione dei casi di violenza colpisce le persone di sesso maschile e lascia indenni quelle di sesso femminile, anche sul profilo penale (tanto per analizzare il caso preso in esame, evidenziamo la disparità di trattamento adottata nei due casi: Vanessa Lo Porto è attualmente in stato di libertà, mentre Giampiero Mele si trova in carcere con una condanna in primo grado a 30 anni).

Dulcis in fundo, vi riportiamo il commento di Chiara Lo Scalzo, gestrice di un blog denominato "Il ricciocorno schiattoso"
Secondo me discutere sul fatto che la violenza sulla mamma possa o non possa necessariamente provocare traumi permanenti sui figli non fa che sottolineare la sudditanza del suo ruolo di madre al suo diritto di essere considerata essere umano a tutti gli effetti [lei si e gli uomini no? loro non sono vittime di violenza assistita?]. C’è bisogno di un'ulteriore motivazione per tutelare una donna sottoposta a violenze dal suo compagno, ovvero che anche la prole ne soffre, perché la sua sofferenza di donna da sola non basta a giustificare dei provvedimenti che impediscano a quest’uomo di compiere altre violenze [di fatto, come diciamo sempre, basta la parola di una donna a far scattare le manette].

C’è la tendenza a generalizzare su tutto: se due si separano la colpa è di entrambi, sempre, se c’è conflittualità è colpa di entrambi, sempre…

Se una donna è maltrattata la colpa è anche sua, perché si è lasciata maltrattare: questo è il pregiudizio che odio di più, e finché non verrà sradicato, restituendo alle vittime il ruolo di vittime e ai colpevoli il ruolo di colpevoli [e il fatto che i maschi colpevoli possano essere stati a loro volta vittime di violenza assistita non lo si prende in considerazione? è facile interrompere il "flusso di responsabilità" in base al sesso, ma non ci sembra una manovra eticamente molto corretta], finché non si accetterà che in qualche questione si può risalire ad un soggetto responsabile e ad una vittima incolpevole, che non ha potuto, per impossibilità materiale, difendersi, allora si continuerà a girare attorno al problema… [e allora è meglio tagliare la testa al toro, giusto?]

[...]

È ora di finirla con questo scaricabarile, e puntare il dito contro chi determina la violenza, contro chi usa il sopruso e la minaccia e profitta vigliaccamente dei soggetti fisicamente più deboli, invece di cercare nelle vittime il seme di ciò che hanno subito.

3 commenti:

  1. Come Lei giustamente cita, io ho scritto "puntare il dito contro chi (individuo, non "le donne") esercita la violenza... e profitta vigliaccamente dei soggetti (sia maschi che femmine) fisicamente più deboli. Non mi sembra ci siano i presupposti per accusare di sessismo i miei commenti, come questo articolo lascia intendere... Non sono io a giudicare in base al sesso, tant'è che il mio commento voleva proprio condannare la generalizzazione che si fa parlando di violenza assistita: non tutti i testimoni di violenza diventano violenti o vittime, c'è sempre un margine di scelta, è quel margine di scelta che ci rende individui (e non solo appartenenti ad un genere, maschi o femmine). Io ritengo che gli individui possano comunque sempre scegliere, soprattutto oggi, che la libertà di informazione ci rende sempre meno schiavi di quegli stereotipi, che sono retaggio di una cultura vecchia e stantia.
    Temo non abbia letto troppo attentamente, o forse non ha collegato bene le mie frasi al contesto dell'articolo.

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  2.  Io veramente vedo scritte altre cose, tutte prettamente unilaterali, il che starebbe a indicare se ho ben capito che questo "margine di scelta" sarebbe istituzionalmente inesistente per le donne e presente invece solo per gli uomini. Di fatto questo mi pare in netto contrasto con le vostre richieste femministe: volete i posti di responsabilità come e più degli uomini, ma quando si tratta di rispondere nel male delle vostre azioni volete essere trattate con i guanti di velluto. Esattamente come la Fornero, che finché siede incontestata sul suo scranno va bene, appena viene contestata si lamenta di essere oggetto di critiche "in quanto donna".

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  3.  Quello che vede Lei è evidentemente viziato dal pregiudizio, ed evidentemente mi sono disturbata invano a chiarire quello che credevo fosse un semplice malinteso. Se scrivo "chi", o "chiunque", o "soggetti", e Lei ci trova una dichiarazione di responsabilità in base al sesso, è Lei che è obnubilato dalle Sue idee e invece di leggere interpreta.
    Per ciò che riguarda la Fornero, vada a leggersi qualche blog delle femministe, e troverà che per prime hanno duramente criticato il signor Ministro, proprio con le Sue stesse motivazioni.
    Chi seriamente crede nella pari dignità degli esseri umani, chi combatte la discriminazione in base al sesso, alla razza, al censo, alla religione, non può che disapprovare coloro che si fanno scudo dell'essere minoranza per fare come gli pare...

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